antonella bersani

Cosa c'è di più naturale del nostro corpo? Questo si domanda Antonella Bersani in tempi di eugenetica e ingegneria biomeccanica, di organi interscambiabili e fisionomie perfettibili, nei quali il corpo sembra essere stato definitivamente surclassato dalla sua immagine. La risposta pare ancora affermativa qualora si scelga di osservarlo dall'interno, ovvero di indagarne la dimensione fisiologica. L'orizzonte del corpo "vitale" e "materiale" rappresenta senz'altro uno dei ritorni più significativi nella produzione artistica degli anni Novanta, dopo le esperienze della Body-Art negli anni Sessanta e Settanta, inteso come ultima frontiera tangibile prima della smaterializzazione (digitale, telematica) del reale. Nel contesto di una singolare ridefinizione della pratica scultorea, il corpo viene assunto da Antonella Bersani come oggetto di un'anomala endoscopia. La rappresentazione della sua valenza organica nasce, per questa giovane artista operante a Milano, in opposizione alla cultura dell'apparenza, mediante l'invito a scavare "nel profondo delle carni per trovare la nostra forza, la nostra vera essenza". Con l'uso sistematico della sineddoche, dove la parte riferisce del tutto, Antonella Bersani si appropria di un artificio retorico in uso nell'immagine erotica e predispone il disvelamento, in maniera costitutivamente ambigua, dei dettagli, degli orifizi, delle pieghe nascoste dell'anatomia umana. Dilatandoli parossisticamente, ci pone di fronte all'evidenza di "quelle parti così vive e pure così sensibili, pulsanti, in continua evoluzione che nutriamo dentro di noi". Ma la naturalità a cui sembra alludere, che coincide con il recupero di una condizione ancora integra, non ha come conseguenza la scelta del realismo. I "preparati" di Antonella Bersani non testimoniano di un'anatomia riprodotta fedelmente, ma la rendono inconoscibile, a partire dal suo sovradimensionamento. Essi si pongono piuttosto in una dimensione allusiva, evocando nello sguardo altrui carnose labbra aperte come ferite, escrescenze cartilaginee, cavità sessualmente determinate, padiglioni auricolari. L'ambiguità ulteriormente sottolineata dal colore, la cui stesura seguita dalla verniciatura, per conferire un aspetto umido alla tumida consistenza del manufatto. La tinta delle mucose declinata in piacevoli tonalità rosate, stemperando in qualcosa di "sensuale morbido, carezzevole" I'impatto violento di queste forme, che rammentano quanto diceva Herbert Read: "la scultura èun'arte del palpare". La "scultura" può dunque tramutarsi in ingombrante "soprammobile", come fuoriuscire da una morbida sacca di peluche, o venire offerta, in uno studiato ton sur ton, dentro un contenitore imbottito di sete fruscianti. La trasformazione della carne palpitante in deliziosi oggetti fruibili rivela l'atteggiamento giocoso dell'artista. Sospesi in evidente contraddizione con la forza di gravitˆ i giganteschi frammenti d'organi paiono tessere una sorta di elogio della leggerezza. Antonella Bersani cos“ disattende le specificitˆ disciplinari postulate dal modernismo postbellico, optando per la tradizionale prerogativa della scultura, che fa di un materiale, come ha sottolineato Rosalind Krauss, il significante di un altro. Le forme plastiche che compongono Corpo si avvalgono addirittura di un doppio illusionismo, scultoreo e pittorico, per enfatizzare l'aggetto delle masse e la profonditˆ degli anfratti. In un'ottica di rivisitazione dell'ereditˆ moderna, viene qui evocata la forma organica di Jean Arp anche quando Antonella Bersani si avventura sul piano dell'incongruo, facendo fuoriuscire da oggetti come tavoli, sedie, pouf anomale escrescenze, che suggeriscono un divenire biologico della materia (generante e degenerata) nelle forme d'uso più corrente.