Giulio Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto, 1967.

Un esercizio concettuale di grande interesse in un’opera che è stata citata infinite volte per i più svariati motivi, rischiando di essere sopraffatta dal suo inconsapevole pedagogismo.
Eppure è opera fondamentale: una fotocopia, che sostituisce un originale, e che riproduce un piccolo ritratto lottiano di ignoto, conservato agli Uffizi.
Chi guarda il giovane, se non colui che lo sta ritraendo? E noi, chi stiamo guardando, se non un giovane che sta guardando Lorenzo Lotto, mentre lo sta ritraendo?
Un gioco di rimandi filosofici, la cui genesi concettuale può farsi risalire all’opera di Velázquez appena esaminata.
L’opera d’arte è un gioco di infiniti rimandi. L’immagine è un’immagine di un’immagine.

 

Nodi magici.


Attenzione allo sguardo: contiene dei trucchi.
L’occhio della donna è esemplare nel momento del suo trucco. Ella si avvicina allo specchio per attendere al gesto che abbellisce, con la matita e i colori, il dintorno dell’occhio (in Oriente il kajal viene messo addirittura all’interno della palpebra). Contrariamente a ciò che siamo soliti dire, quest’occhio non si fa bello per apparire attraente, ma, al contrario, si abbellisce per armarsi, per essere più acuto e più analitico nei riguardi del mondo maschile: ne va della continuazione della specie …
Uscendo dalla metafora, attenzione a ciò, dunque, che succede quando guardiamo un’opera d’arte, perché può avvenire d’incontrare il suo sguardo, che ci scruta.
Tutto nell’arte è un magico trucco, che pericolosamente ci avvince.

Giuseppe Penone, Rovesciare i propri occhi, 1970.

Guardare dentro di sé è la condizione grazie a cui l’artista può essere cieco nei riguardi della realtà esterna, come un perpetuo Omero. Ciò che conta, infatti, è il sentimento interiore.
Ma l’opera di Penone, un altro importante protagonista, come Paolini, dell’Arte Povera, ci permette di fare un ulteriore osservazione sullo sguardo: le sue pupille sono ricoperte da lenti metalliche; su di esse, ancor più evidenti che su quelle naturali, si riflettono immagini, figure, le nostre fattezze.
Se osserviamo in quegli occhi il riflesso dei nostri corpi, essi appariranno come piccoli bozzoli di vita, quasi delle minuscole “pupe”. Il termine “pupilla” nasce proprio da ciò.
In realtà noi siamo visti da ciò che crediamo di vedere: tra vedente e veduto c’è un mistero, che nulla ha a che fare con le ottiche e le diottrie.